NanoTECNOLOGIE e NanoPATOLOGIE

E' corretto collegarle?

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. mangoo
     
    .

    User deleted


    Cari amici,

    in questioni nebulose e complesse e' generalmente vantaggioso mantenere un attegiamento aperto e bilanciato. Le nanotecnologie rientrano ampiamente in questa categoria di argomenti. Ed e' importante sostenere un dibattito sostenuto da fatti e osservazioni attendibili il piu' esteso possibile.

    Le tecnologie applicate a scala nanometrica sono - ancora, perlomeno - molto distanti dall'immaginazione collettiva, abituata a muoversi in ambiti retti dalle leggi del mondo macroscopico. Nel dominio micro- e nanoscopico la relazione tra le forze in gioco cambia radicalmente (la gravita' e' trascurabile, le interazioni superficiali e di Van der Waals diventano predominanti). Imparare le regole di questo gioco, distanti dalla normale intuizione, richiede pratica ed esperienza; nuovi spettacolari fenomeni sono possibili o diventano vantaggiosi, inaspettate proprieta' possono essere attivamente sfruttate. Acquisire e consolidare le metodologie di impiego di questo portentoso arsenale richiede tempo; l'esempio della precedente generazione delle microtecnologie e' esemplare in questo riguardo. Ma allo stesso tempo i risultati preliminari delle nanotecnologie hanno ricevuto, quasi dall'inizio, grande pubblicita' e persino conosciuto buona diffusione popolare. Risulta quindi evidente che nella mente di tante persone la voce 'nanotecnologie' e' associata ad un binomio composto da 'spazi irragiungibili, sconosciuti e distanti dalla comune esperienza' e 'enormi e radicalmente nuove potenzialita'. Questa coesistenza ingenera facilmente diffidenza e timore derivanti dall'impossibilita' di un controllo diretto di questa dimensione nascosta (come direbbero i cultori delle superstringhe). Questo sentimento, in se' salutare se semplicemente dettato da scetticismo, puo' degenerare in vera paura a seguito di una illecita ma ahime' altrettanto comune induzione: quella secondo la quale l'impossibilita', soggettiva, di far fronte al pericolo si estende a tutta la comunita'. Questo passaggio al limite implica una preesistente diffidenza di fondo nei mezzi e nelle risorse umane. Ma, se cosi' e', questo e' intrinseco in ogni attivita' umana, di cui le nanotecnologie sono solo uno, nuovo ma non ultimo esempio. Si pensi analogamente alla paura dell'inverno nucleare.

    La ricerca sulle nanotecnologie ha ritmi sostenutissimi perche' moltissimi gruppi in tutto il mondo vi sono coinvolti, piu' o meno direttamente. Questo e' frutto delle potenzialita' sbandierate con la pubblicita', e allo stesso tempo il motivo per cui tanto se ne deve parlare: gli ingenti fondi stanziati per lo sviluppo tecnologico devono trovare una via di ritorno.

    Per le applicazioni mediche in particolare (per cui esiste da tempo il thread dedicato in questa sezione, cui rimando per estendere il dibattito in questa direzione), il discorso e' piu' interessante in quanto la dimensione tipica di anticorpi, antigeni, proteine, enzimi e macromolecole e' di decine di nanometri. Un lavoro attivo direttamente a questa scala e' semplicemente ottimale per selettivita', efficienza, precisione e direzionalita'. La medicina ha la potenzialita' di raggiungere livelli di specificita' senza precedenti, e questo e' in effetti la motivazione che traina molta della ricerca nel campo.

    Per quanto riguarda l'accesso ai servizi medici, non credo che questo possa essere influenzato significativamente dalle nanotecnologie. Intendo dire che gia' oggi esso e' selettivo e/o preferenziale, la salute essendo sostanzialmente (ma con sostanziose eccezioni) proporzionale all'agiatezza economica. Se possibile le applicazioni di micro- e nanotecnologia miglioreranno la situazione in quanto mirano all'abbattimento dei costi di accesso ed utilizzo delle strutture e delle risorse. Per esempio, un'analisi del DNA puo' richiedere (nel caso migliore) uno o due giorni in un normale laboratorio, mentre un DNA-chip monouso (dal costo molto contenuto) la potra' svolgere in qualche decina di minuti, e non necessariamente in un laboratorio medico.

    Un caro saluto,
    Massimo
     
    .
  2. rabazon
     
    .

    User deleted


    salve BE,
    beh, un bel rompicapo..

    solo per informazioni,
    il presidente Bush,vedo trattato come satana in molte parti del forum,
    aveva l'abitudine di presentarsi spesso con un guru mondiale delle nanotech,
    (ma non era uno stupidone molto peggio delle illuminifiche menti dei politici nostrani..
    da prodi, a d'alema, berlusconi ,fini, bossi, mastella, casini..
    loro nun sanno manco che sia, stanno troppo bene)...
    comunque sia ,ultimamente sembra abbia preso molte distanze, fino a chiudere alcuni rubinetti finanziari...
    adesso partiranno i soliti amicod, complotti de petrolieri con le mani in pasta,ecc..
    può darsi invece, derivante da una semplice spinta di chiusura per i molti dubbi che si stanno sollevando..
    io personalmente , non riesco a vederci molto chiaro...
    aspetto ...
    posizione da sforzomaggiore, ma onestamente...non so..
     
    .
  3. rabazon
     
    .

    User deleted


    da cerchiobottista ...
    non so chi leggerà..
    Tubi sempre meno tossici
    di KEVIN BULLIS


    DELLE NANOPARTICELLE si lodano le uniche proprietà elettroniche e biologiche. Le dimensioni infinitesimali consentono loro di oltrepassare le barriere, e di trasportare i farmaci direttamente all’interno delle cellule cancerose, per esempio. Ma ricercatori e attivisti temono che queste stesse caratteristiche possano renderle pericolose in alcuni ambiti di applicazione, consentendo loro di infiltrarsi anche nelle cellule sane danneggiandole. Un numero sempre crescente di team di ricerca sta cercando di approfondire la conoscenza delle modalità di interazione tra queste nuove strutture e le entità biologiche, in modo che la scienza possa trarre vantaggio dalle loro promettenti potenzialità senza involontariamente recare danno. Via via che emergono i risultati dei primi studi, viene alla ribalta anche una possibilità dall’attuazione estremamente complessa ma anche altrettanto intrigante: i ricercatori potrebbero in futuro riuscire a regolare la tossicità delle nanoparticelle. In altre parole potrebbero renderle più tossiche, per esempio, se l’obiettivo è quello di annientare delle cellule tumorali, e meno tossiche per la somministrazione di farmaci o per applicazioni di diagnostica per immagini.

    Il più recente studio a questo proposito, che dovrebbe apparire in un prossimo numero di Toxicology Letters, suggerisce l’ipotesi che più si modificano le superfici dei nanotubi al carbonio più se ne riduce la tossicità. «La nanotecnologia è uno strumento. Può essere benefico ma anche disastroso. Dobbiamo stare attenti, e soprattutto dobbiamo comprendere a fondo le nanoparticelle prima di usarle», spiega Chang-Yu Wu, della University of Florida di Gainesville, coautore di un saggio di recente pubblicazione sull’impatto ambientale delle nanoparticelle. Alcuni scienziati temono che le nanoparticelle, dal momento che sono caratterizzate da proprietà significativamente diverse da quelle dei materiali su scala non microscopica, possano anche presentare rischi a prima vista insospettabili. Per esempio, continua Wu, l’oro normalmente può essere impiegato senza alcun pericolo in applicazioni biologiche, ma in alcuni casi allo stato nanotech ha la facoltà di uccidere i batteri. Non solo: le particelle possono passare attraverso il sangue e penetrare in organi cruciali come il cervello, il che può essere un bene ma anche un male, dipende da che tipo di nanoparticelle si tratta.

    Nell’ultima ricerca, gli esperti della Rice University sono riusciti a modificare il grado di tossicità dei nanotubi al carbonio sfruttando la chimica di precisione che ha reso possibile la nascita della nanotecnologia come disciplina. Hanno attaccato all’esterno dei nanotubi – che in sostanza sono delle gabbie cilindriche di atomi di carbonio – dei gruppi di agenti chimici che ne aumentano la solubilità, una caratteristica importantissima soprattutto se i nanotubi devono essere poi utilizzati in regioni del corpo ricche d’acqua. Si è quindi riscontrato che le nanoparticelle così modificate hanno anche l’effetto di distruggere un minor numero di cellule in una coltura. In effetti diventano così “sicure” che in situazione di esposizione a questi nanotubi il numero di cellule annientate non differisce affatto da quello delle cellule che muoiono in condizioni di immersione in una soluzione di controllo senza nanotubi. «Un risultato incoraggiante», commenta Pat Roy Mooney, direttore esecutivo dell’Etc Group, organizzazione che si oppone all’attuale utilizzo delle nanoparticelle in prodotti di largo consumo come per esempio le creme solari, sostenendo che prima di essere impiegate andrebbero testate a 360 gradi. Malgrado l’esito promettente della ricerca della Rice, Mooney sottolinea che «sono necessari ancora parecchi studi» per comprendere i reali possibili rischi collegati all’uso delle nanoparticelle.

    Le ultime scoperte sono parte di un lavoro di ricerca continuativo condotto dagli esperti della Rice sul rapporto tra nanotecnologie e ambiente. Nel descrivere tali attività in occasione di un recente convegno, Vicki Colvin, direttore del Center for Biological and Environmental Nanotechnology (Cben) della Rice nonché fra gli autori dello studio in via di pubblicazione, ha precisato che scoprire nuovi metodi per «modificare e controllare le conseguenze biologiche alterando la struttura delle particelle» aiuterà i chimici a progettare nanodispositivi più sicuri.

    Un precedente studio condotto dallo stesso istituto ha invece riguardato delle macromolecole di carbonio, i fullereni (anche detti buckyballs), che notoriamente hanno la capacità di danneggiare le membrane cellulari. Mediante un “furto” di elettroni, i fullereni non modificati generano dei radicali liberi in grado di innescare una reazione a catena che distrugge le molecole. I ricercatori hanno scoperto che alterando la superficie dei fullereni li si rende molto meno tossici. Ma modificare buckyballs e nanotubi non può funzionare per tutti gli ambiti di applicazione. Alterare la superficie di un fullerene per renderlo più sicuro ne diminuisce, infatti, anche la forza di attrazione in ambito fotovoltaico, per esempio, dove la capacità di catturare elettroni è invece essenziale. D’altro canto, le strutture modificate mantengono inalterati alcuni tratti utili, compresa forse la facoltà di incapsulare un farmaco. Allo stesso modo, i nanotubi al carbonio manipolati possono anche perdere alcune loro funzioni, come la fluorescenza, ma mantenere alcuni possibili impieghi, come il trasporto di agenti per l’imaging. L’obiettivo del Cben, spiega il chimico Kevin Ausman, direttore esecutivo dell’istituto e co-autore della ricerca, è quello di elaborare «una sorta di predittività in grado di stabilire quali materiali possono risultare pericolosi in quali contesti e quali no». A tal fine, i ricercatori di diverse istituzioni facenti tutte capo al Risk Science Institute il mese scorso hanno pubblicato un elenco di linee guida per il monitoraggio dei nanomateriali, una serie di regole che dovrebbero aiutare a standardizzare le sperimentazioni e consentire ai ricercatori di inglobare dati di diversa provenienza. «È un settore di indagine estremamente interessante», osserva Ausman, «ma anche una problematica troppo complessa per essere affrontata da un team solo, pertanto chiunque si voglia mettere in gioco è assolutamente il benvenuto».
     
    .
  4. mangoo
     
    .

    User deleted


    Cari amici,

    a proposito della funzionalizzazione superficiale delle nanoparticelle, introdotta dal precedente post di Rabazon, voglio riportare una interessante considerazione.

    Notoriamente, per corpi di dimensioni nanometriche l'importanza degli effetti gravitazionali (legati alla massa) è del tutto trascurabile, per cui il moto delle nanoparticelle, almeno in ambienti relativamente chiusi, è essenzialmente di tipo browniano (quando non intervengano fenomeni di trasporto di massa). Tale moto è, in parole povere, caotico. Una diretta conseguenza di ciò la troviamo nel cammino medio delle nanoparticelle all'interno dei polmoni: le particelle più piccole (e dunque, a quanto sembra, più pericolose) vengono assorbite dalle pareti interne polmonari più vicine alla cavità orale, proprio perchè il loro moto 'adirezionale' aumenta fortemente la probabilità di cattura di questo tipo di particelle da parte delle pareti. Viceversa, le particelle più grandi (meno pericolose) saranno mediamente catturate dalle pareti situate in tratti più profondi (cioè nelle zone dove il danno arrecabile è maggiore) perchè risentono relativamente di più degli effetti gravitazionali (che aggiungono direzionalità al loro moto).
    L'importanza della ingegnerizzazione superficiale delle nanoparticelle interviene allorchè essa impedisce la loro aggregazione. Normalmente infatti le nanoparticelle sono molto reattive e tendono ad agglomerarsi in cluster di dimensioni maggiori rispetto a quelle delle particelle componenti, con l'effetto di apparire al sistema immunitario come corpi estranei con cui 'si sa trattare'. Se al contrario le particelle non possono agglomerarsi (ad esempio, se ne aumenta la solubilità) la loro capacità di penetrazione resta intatta, e così i problemi che ne sembrano derivare.
    Si noti che quanto detto non è necessariamente in contraddizione con il post precedente, che si riferisce essenzialmente all'effetto delle singole particelle.

    Cari saluti,
    Massimo
     
    .
18 replies since 19/5/2006, 14:28   3190 views
  Share  
.