Tecnologie per il trattamento dei rifiuti...

...e non solo...

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  1. Armando de Para
     
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    Leggendo i pochi interventi in questo nuovo 3D mi sono accorto che c'è molta confusione e scarsa conoscenza delle tematiche e delle tecnologie oggi disponibili, per questo motivo ho deciso di aprire questa discussione, per dare modo a chiunque di approfondire prima di intervenire senza cognizione di causa, resta inteso che questa discussione potrà essere oggetto di ulteriori aggiornamenti ed integrazioni da parte di chi (con la giusta competenza) è in grado di portare informazioni utili.
    Grazie per la collaborazione e le eventuali integrazioni. :shifty:
    AdP

    TECNOLOGIE TRADIZIONALI PER TRATTAMENTO TERMICO DEI RIFIUTI

    Si esaminano brevemente le principali tecnologie disponibili al giorno d’oggi per il trattamento termico dei rifiuti. Partendo da quelle che prevedono condizioni operative con eccesso di ossigeno, per passare per gradi a quelle condotte pressoché in assenza di questo ultimo.

    Il percorso seguito è il seguente:

    § Incenerimento, con recupero di calore (termovalorizzatore visto che qualcuno pensa che siano due cose diverse)
    § Gassificazione,
    § Pirolisi.

    INCENERIMENTO

    Per incenerimento si intende il processo di combustione dei rifiuti operato in condizioni d'eccesso d’aria rispetto alla quantità stechiometrica; ossia il quantitativo totale d’ossigeno introdotto è superiore alla quantità necessaria per permettere la completa ossidazione del materiale trattato.

    La combustione è una reazione chimica di ossidazione, fra un combustibile ed un comburente, generalmente l’ossigeno, con sviluppo di energia. Da questa reazione si generano nuovi componenti, i prodotti della combustione.

    Gli impianti di incenerimento possono essere classificati in tre gruppi fondamentali:

    1. Forno a griglia fissa o mobile
    2. Forno a tamburo rotante
    3. Forno a letto fluido
    Le stesse tipologie di impianti sono impiegate in altri trattamenti termici e prescindendo dalle condizioni operative hanno molti punti in comune con gli impianti per la gassificazione e la pirolisi.

    FORNO A GRIGLIA FISSA O MOBILE


    Sono caratterizzati da una griglia sulla quale sono immessi dal sistema di alimentazione i rifiuti da trattare. Il comburente necessario alla combustione è introdotto sia da sotto la griglia, in quantità stechiometriche, sia da sopra, in modo da avere un eccesso d’ossigeno e garantire la completa ossidazione. I forni a griglia mobile, inoltre, hanno il vantaggio di permettere attraverso il movimento della griglia il rimescolamento del rifiuto aumentando l’efficienza del contatto combustibile comburente.

    La metodologia d’immissione dell’aria rappresenta una caratteristica che di per se è utilizzata per la classificazione dei forni a griglia. L’aria può essere immessa in equicorrente ed in controcorrente rispetto al percorso dei rifiuti.

    Lo schema di un impianto tipo prevede una tramoggia di carico, un sistema d’alimentazione dei rifiuti nel reattore, una griglia all’interno del reattore su cui deve essere deposto uno spessore appropriato di rifiuti; quasi sempre è presente una camera di post combustione, ed infine una zona di raccolta scorie di combustione, alla fine della griglia, in cui si raccoglie anche ciò che cade dalla griglia durante l’avanzamento.
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    FORNO A TAMBURO ROTANTE


    Sono chiamati anche forni rotativi (rotary kiln) poiché costituiti fondamentalmente da un tamburo rotante, leggermente inclinato che fa da camera di combustione. Dalle estremità si opera il carico dei rifiuti e la rimozione della scoria. I rifiuti si caricano dalla testata più alta insieme all’eventuale combustibile ausiliario per la combustione. La lenta rotazione fa sì che i rifiuti attraversino poco a poco l’intera camera di combustione.

    La combustione avviene a contatto con la parete del forno che, per questo, è rivestita di materiale refrattario. In questa tipologia di forni le condizioni di contatto tra combustibile e comburente sono migliorate attraverso l’introduzione di palettature che trascinano verso l’alto i rifiuti.

    Solitamente sono equipaggiati di una camera di post combustione poiché le sostanze volatili, generatesi all’interno del forno, non sempre arrivano alla completa combustione a causa dei brevi tempi di permanenza e della bassa efficienza di mescolamento. D’altro canto questi forni, meglio di quelli a griglia, hanno una migliore efficienza di distruzione del materiale introdottovi esponendone tutte le sue facce all’ossidazione. I tempi di permanenza del materiale solido può andare da qualche minuto ad un’ora ed oltre. Anche questi forni possono essere classificati in base al movimento dei gas rispetto ai rifiuti, si distinguono in equicorrente ed in controcorrente.

    Uno schema d’impianto tipo prevede, oltre al forno, una seconda camera di combustione ed il sistema di lavaggio e pulizia del gas. Il forno rotativo presenta il vantaggio di poter trattare una ampia tipologia di rifiuti.
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    FORNO A LETTO FLUIDO

    Il forno a letto fluido prevede la combustione dei rifiuti in un letto di particelle solide che vengono fluidizzate (cioè mantenute sospese) attraverso l’iniezione d’aria ascensionale ad alta velocità dal fondo del reattore.

    Si ricorda che la fluidizzazione è l’operazione mediante la quale una massa di particelle solide viene trasformata in uno stato fluido attraverso un flusso di gas ascensionale, in grado di sostenerne il peso. Questo flusso garantisce un buon grado di mescolamento del fluido e delle particelle, ma soprattutto una buona distribuzione dello scambio termico.

    Il sistema è costituito da una sorta di cilindro verticale, rivestito da refrattario, contenente generalmente insieme ai rifiuti un materiale inerte, tipo sabbia, per migliorare i processi di scambio termico e fungere da volano termico del sistema.

    L’immissione dell’aria avviene in due punti distinti; l’aria primaria è inserita dal basso e garantisce la velocità di minima fluidizzazione, mentre quella secondaria è inserita al di sopra della “fase densa” del letto. I rifiuti sono pompati all’interno del letto, insieme all’eventuale combustibile ausiliario, dove avviene la combustione. A causa dei lunghi tempi di permanenza e della combustione spinta, le particelle solide diventano più piccole e leggere, tanto da dirigersi nella parte superiore della colonna e permettere la separazione dei componenti più volatiti, i quali sono solitamente inviati in una seconda camera di combustione.

    I combustori a letto fluido possono essere classificati secondo i parametri funzionali (pressione) e le modalità di fluidificazione (a letto bollente o trascinato).

    Segue un esempio schematico di un combustore a letto fluido (da letteratura).
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    LA GASSIFICAZIONE

    La gassificazione è un processo termochimico utilizzato per la conversione di qualsiasi materiale contenente carbonio in un gas di sintesi (Singas) composto principalmente da monossido di carbonio CO ed idrogeno H2. Il processo è distinto in due linee tecnologiche, quella convenzionale (seppur al giorno d’oggi presenti aspetti tecnologicamente innovativi) e quella che utilizza la tecnologia al plasma.

    Il cuore degli impianti in cui avviene il processo è il Gassificatore, le cui tipologie fondamentali possono essere così classificate:

    § Moving Bed Gasifier (Gassificatore a letto mobile).
    § Fluidized Bed Gasifier (Gassificatore a letto fluido).
    § Entrained Bed Gasifier (Gassificatore a letto trascinato).

    L’alimentazione del gassificatore è generalmente costituita da un combustibile a basso costo, generalmente:

    - carbone, biomasse, residui, CDR, rifiuti solidi in genere, etc;

    Tale combustibile, secondo la tipologia di reattore utilizzato, reagisce in un ambiente riducente (in difetto di ossigeno) ad alta temperatura, ed eventualmente ad alta pressione, per formare un gas di sintesi (singas) composto da monossido di carbonio CO ed idrogeno H2 con percentuali che possono raggiungere valori del 85% in volume.

    Il singas è un combustibile sintetico che può essere utilizzato nell’industria chimica per la produzione di chemicals, oppure può essere impiegato come combustibile per la produzione di energia elettrica in motori a gas dedicati, in turbine a gas od in impianti a ciclo combinato a seconda delle potenzialità dell’impianto.

    La parte inorganica dell’alimentazione nella migliore delle ipotesi è ridotta in un materiale vetroso inerte da cui sono separati i metalli in essa contenuti; in altri casi rimane inglobata in un residuo carbonioso che deve essere inviato a successivi trattamenti o smaltito in discarica. La formazione di diossine, ossidi di zolfo SOx ed ossidi di azoto NOx è generalmente limitata per il fatto che la degradazione termica ha luogo in un ambiente in difetto di ossigeno.

    Ad ogni modo è necessario sottolineare come le condizioni operative per condurre la gassificazione siano talmente differenti tra i vari processi da rendere difficile una sintesi generale.

    Al variare della percentuale di ossigeno nel reattore, il processo di massificazione, può spostarsi verso quello di Pirolisi (assenza pressoché totale di Ossigeno) o verso quello di incenerimento (combustione con percentuale di ossigeno O2 maggiore o uguale a quella stechiometrica [O2] ≥ [O2] Stechiometrico).

    Se si tiene conto del fatto che la fonte di calore necessaria per la decomposizione termica nei processi tradizionali è fornita della combustione di quota parte del combustibile immesso nel reattore, si capisce perché alcuni autori definiscono la gassificazione come la combinazione di sottoprocessi noti, quali la Combustione, la Pirolisi e nel caso dell’utilizzo di vapore il “Reforming”.

    Risulta quindi giustificato il poter generalizzare la gassificazione nei suoi processi convenzionali (e non nell’uso della tecnologia al plasma) come la somma due stadi.

    Nel primo stadio, la Pirolisi rilascia i componenti volatili del combustibile a più bassa temperatura (anche inferiore ai 600 °C). Tutto ciò che non viene gassificato dalla Pirolisi prende il nome di “carbone” (CHAR) ed è costituivo principalmente da cenere e carbonio fissato.

    Nel secondo stadio della Gasificazione, il carbonio restante dalla Pirolisi viene fatto reagire con vapore e/o viene combusto con aria od ossigeno puro. Dalla gassificazione con aria si ottiene un gas combustibile ricco di azoto (composti azotati) e con più basso potere calorifico.

    Dalla Gasificazione con Ossigeno puro si ottiene una miscela di più alta qualità composta di monossido di carbonio CO, Idrogeno H2, e teoricamente nessun composto azotato. La gassificazione con vapore è solitamente chiamata “reforming” e da questa si ottiene un gas di sintesi, come gia detto, ricco di idrogeno e monossido di carbonio CO.

    Tipicamente, la reazione esotermica tra il carbonio e l’ossigeno apporta l’energia sufficiente per portare a termine la pirolisi e le reazioni di gassificazione del CHAR.

    Di seguito vengono riportati da letteratura gli schemi dei principali gassificatori.
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    LA PIROLISI

    La pirolisi è un processo termochimico tramite il quale un solido od un liquido subiscono una degradazione dei composti chimici che li costituiscono per trasformarli in molecole più piccole sotto l’azione del calore; e senza alcuna interazione con l’ossigeno o qualunque altro agente ossidante necessario per la combustione. In pratica però non è possibile operare in completa assenza d’ossigeno ed in realtà gli impianti per la pirolisi operano con atmosfere contenenti una quantità d’ossigeno molto al di sotto della stechiometrica (al massimo il 30%). Per cui, a causa della presenza d’ossigeno, una parte del materiale trattato viene bruciato.

    L’intervallo di temperatura in cui è condotta la pirolisi è compreso tra i 500-800 °C, ciononostante è possibile individuare tre livelli in cui il fenomeno prende nomi diversi:

    § Temperatura compresa tra i 100 - 300 °C: Degradazione Termica,
    § Temperatura compresa tra i 300 - 500 °C: Pirolisi “blanda” (mild),
    § Temperatura superiore agli 800 °C: Pirolisi “energica” (vigorous);

    La pirolisi lenta, chiamata anche carbonizzazione, può essere utilizzata per massimizzare il rendimento della frazione solida, il carbone. Tale processo richiede una lenta decomposizione pirolitica a bassa temperatura con tempi di permanenza molto lunghi.

    Un tipico esempio di questa metodologia è la produzione di carbone da legna.

    Le pirolisi “Fast” e “Flash” prevedono elevate velocità di riscaldamento a temperature medio elevate e sono utilizzate per la massimizzazione della frazione liquida.

    Nel caso dell’ultra pirolisi, l’estremizzazione di tutti i parametri, temperatura, velocità di riscaldamento insieme a tempi di contatto brevissimi, serve per la massimizzazione della frazione gassosa.

    I principali sistemi di pirolizzatore sono:

    § a letto fisso,
    § a letto fluido, con o senza ricircolo,
    § a tamburo rotante,
    § altre tecnologie innovative;
    Nella maggior parte degli schemi di impianto la sorgente di calore esterna al reattore è costituita dai fumi caldi provenienti dalla combustione del gas prodotto dalla pirolisi, convogliati in appositi sistemi di approvvigionamento termico del reattore, mentre nelle fasi di avviamento si utilizza una sorgente di combustibile ausiliare.

    LIMITI TECNOLOGICI DEI TRATTAMENTI TERMICI TRADIZIONALI


    1) Necessità di pretrattamento dei rifiuti.
    Molti dei reattori necessitano di trattamenti preliminari prima dell’alimentazione, come l’essiccamento e l’omogeneizzazione; ed in taluni casi la triturazione in pezzatura di piccole dimensioni. In altri casi è necessario eseguire un’adeguata separazione tra le varie frazioni.

    2) Inquinamento.
    La maggior parte dei processi esaminati utilizza come fonte di calore una sorgente interna al processo, tramite la combustione di una parte dei rifiuti da trattare o tramite il diretto utilizzo dei prodotti del processo (gas, carbone, ecc.). Il processo di combustione, per quanto sia condotto in condizioni ottimali, non è in grado di assicurare un’efficienza totale nella termodistruzione di tutte le sostanze inquinanti, quali diossine e furani, in particolare nei transitori.

    3) Residui di processo e rifiuti secondari.
    In molti dei processi esaminati a valle del trattamento termico si producono residui solidi, scorie (fly ask) e ceneri, che contengono residui carboniosi e metalli pesanti. E sebbene si sia operata una riduzione volumetrica rispetto al rifiuto in alimentazione, permane l’esigenza di utilizzo delle discariche per la messa in dimora finale di detti materiali. Inoltre, normalmente, i sistemi di depurazione fumi necessitano di acqua per l’abbattimento dei contenuti acidi o basici, il che comporta la successiva depurazione dei fluidi utilizzati.

    TRATTAMENTO TERMICO DEI RIFIUTI CON TECNOLOGIE AL PLASMA


    L’utilizzo della tecnologia del plasma per il trattamento termico dei rifiuti ha rappresentato nella seconda metà degli anni ’90 una proposta innovativa per il recupero di energia e materia dai rifiuti.

    Il plasma si forma fornendo ad un gas energia sufficiente a rompere il legame molecolare ed atomico. Infatti nello stato di plasma non esiste più il legame molecolare (per un gas biatomico come Azoto ed Idrogeno), nè il legame atomico (per un gas monoatomico come Argon ed Elio). Gli atomi, per la perdita di uno o più elettroni, si scindono in ioni, con una o più cariche positive, ed elettroni (fenomeno di ionizzazione atomica).

    Comunque il plasma, nella sua totalità, è elettricamente neutro, in quanto la somma delle cariche positive (ioni) eguaglia la somma delle cariche negative (elettroni).

    Le principali differenze - analogie tra lo stato gassoso ed il plasma sono schematizzate nella seguente tabella:
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    Il plasma ad arco viene ottenuto mediante il trasferimento di energia, sviluppata in una scarica ad arco, ad una massa gassosa.

    Con riferimento alle condizioni operative e alle modalità di collegamento del generatore di corrente d'arco con gli elettrodi, si possono distinguere sostanzialmente due diversi tipi di plasmi ad arco:

    1) Il plasma ad arco non trasferito,
    2) Il plasma ad arco trasferito.

    tale differenziazione per le sue implicazioni tecnologiche distingue in due macrogruppi gli impianti fino ad oggi sviluppati per la decomposizione termica dei rifiuti.

    REATTORE CON TORCIA AD ARCO NON TRASFERITO

    La torcia ad arco non trasferito innesca un arco tra due elettrodi all’interno della torcia, la quale a sua volta è posta in modo tale da convogliare il plasma ad altissima temperatura all’interno di un reattore le cui dimensioni ovviamente dipendono dal tipo, dalla grandezza e dalla qualità del rifiuto che si voglia trattare.

    Le torce solitamente possono innestarsi nel reattore accedendo secondo multipli disposizioni con diverse configurazioni geometriche che variano a seconda del progetto effettuato dalla casa costruttrice.

    Di seguito si riportano gli schemi da letteratura delle torce ad arco non trasferito e trasferito, tenendo presente che il plasma è evidenziato solo per dare valenza grafica al fenomeno.
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    REATTORE CON TORCIA AD ARCO TRASFERITO

    La torcia ad arco trasferito innesca un arco tra due elettrodi, dei quali uno è solitamente costituito da una o più barre – spesso in grafite od in titanio - che discendono dall’alto all’interno del reattore, mentre il restante elettrodo è costituito da un opportuno rivestimento conduttore della base del reattore. Si possono avere varie configurazioni degli elettrodi al fine di favorire una migliore uniformità della temperatura, non solo l’elettrodo solitamente superiore può essere singolo o multiplo e può inserirsi nel reattore da diversi punti con diverse angolature, ma in alcuni casi è dotato di mobilità in modo da descrivere precise traiettorie e spaziare la maggior superficie possibile in direzione del fondo del reattore; in altri casi è l’elettrodo superiore a rimanere fisso ed il fondo a girare su se stesso.

    La polarità di ciascun elettrodo può variare a seconda della casa costruttrice assolvendo in alcuni casi la funzione di catodo ed in altre configurazioni quella di anodo.

    L’arco si innesta tra gli elettrodi creando in tal modo una precisa regione all’interno del reattore dove è confinato il plasma; ciò fa si che i rifiuti, e perché vi cadono o perché ne sono investiti, entrino a diretto contatto con il gas ionizzato ad altissima temperatura e subiscano la dissociazione termica.

    GLI IMPIANTI A TORCIA AL PLASMA

    E’ possibile individuare alcuni particolari costruttivi e gestionali comuni per le varie tecnologie a torcia al plasma.

    Uno dei punti di forza è rappresentato dal fatto che, in linea di massima, è possibile trattare qualsiasi tipo di rifiuto, siano essi urbani o speciali, pericolosi o non pericolosi. Il principio che sta alla base della tecnologia consiste nello sfruttare l’elevata densità di energia sviluppata da una torcia nella regione delimitata dello spazio in cui è confinato il plasma, o nelle zone ad elevata temperatura da queste create, per operare la dissociazione termica del rifiuto, il quale passa da una complessa ed organizzata struttura molecolare ad uno stato semplice ed elementare; quindi non solo si assiste ad una disgregazione del rifiuto allo stato molecolare, ma per effetto dell’altissima temperatura cui è sottoposto anche queste ultime si dissociano negli atomi elementari che le costituiscono.

    Si ricorda inoltre che il calore prodotto da una torcia al plasma è sostanzialmente diverso da quello prodotto dalla combustione in quanto è quasi privo di massa e può essere generato anche in completa assenza di ossigeno, in tal modo i composti organici facenti parte dei rifiuti vengono “scomposti” nei loro elementi costitutivi, tra i quali prevalgono il carbonio C, l’idrogeno H, ed in quantità inferiori l’ossigeno O, gli alogeni tra cui prevale il cloro Cl, l’azoto N, e lo zolfo S.

    Tale principio fa si che possa essere perseguito l’obiettivo ambientale di “zero emissioni”. Infatti secondo quanto dichiarato all’unanimità dalle aziende costruttrici di tali impianti è possibile ottenere la decomposizione termica di oltre il 99,99% della materia organica, eliminando, in linea di principio, le emissioni di diossine, furani e simili.

    Il gas di sintesi prodotto, definito come Singas, rappresenta la prima fonte utile per l’impianto per compensare il bilancio energetico. Il singas, infatti, opportunamente raffreddato e pulito può essere utilizzato, seppur con metodologie diverse, per la produzione di energia elettrica, della quale una quota parte è utilizzata per il funzionamento dell’impianto.

    Il contenuto energetico del gas prodotto è circa un terzo (1/3) di quello del gas naturale ed è quindi facilmente sfruttabile, d’altro canto, i composti inorganici presenti nei rifiuti per effetto d’alta temperatura vengono fusi dando luogo ad un materiale vetroso, non lisciviabile ove rimangono imprigionati definitivamente i metalli pesanti eventualmente presenti.

    L’alimentazione del reattore viene progettata per operare in modo da immettere automaticamente i rifiuti nella regione più calda del reattore, ossia in modo che entrino a contatto con il plasma o con la regione a più alta temperatura da questo creato.

    Normalmente gli impianti prevedono una zona di stoccaggio rifiuti in alimentazione all’impianto. Si introduce cosi il vantaggio di un polmone d’accumulo legato all’alimentazione del reattore principale, evitando fermate.

    LIMITI TECNOLOGICI DELLE TORCE AL PLASMA

    a) limitata durata dei materiali refrattari del reattore,
    b) necessità di combustibile per omogeneizzare la temperatura del reattore,
    c) temperature elevate nel reattore a contatto dei refrattari,
    d) limitata durata delle punte metalliche delle torce (che necessitano di raffreddamento)
    e) dannosi cicli on-off che causano shock termici,
    f) solidificazione del materiale fuso nei condotti di sversamento e necessità di sovrariscaldare per effettuare lo spillamento,

    g) volume ristretto del reattore per evitare che il materiale immesso esca senza essere trattato dall'unica fonte di calore,

    h) mancanza di esempi industriali.

    GASSIFICAZIONE E DISSOCIAZIONE DEL SINGAS


    Uno dei maggiori limiti nell’utilizzo della gassificazione è rappresentato dalla difficoltà nell’alimentazione del singas prodotto direttamente nei motori o nelle turbine, e per risolvere il problema si utilizzano due tecnologie associate:

    · Reattore di gassificazione
    · Camera di dissociazione molecolare al plasma

    Si tratta di una tecnologia che utilizza processi industriali consolidati in una integrazione innovativa. Allo stato esistono impianti funzionanti di dimensioni industriali.

    Il singas in uscita dal reattore passa in una camera di dissociazione al plasma, ove il rimane per il tempo sufficiente per rompere i legami organici complessi. Successivamente il singas viene trattato per essere alimentato in un motore a gas (quench, filtro a maniche, scrubber, filtri, riscaldatore e compressore). L’acqua da scrubber viene recuperata e riciclata nel processo.

    Il sistema non produce rifiuti secondari ma solo energia elettrica e vapore (e/o acqua calda).

    L’energia per la gassificazione è data sia dall’aria calda immessa dal fondo del reattore, ottenuta da una frazione del singas prodotto e dall’energia dai rifiuti, mentre la dissociazione (plasma) è ottenuta con arco voltaico alimentato con energia elettrica.

    Sintesi della tecnologia:

    · Tratta pressoché tutti i rifiuti ed in qualsiasi stato.
    · Non è una combustione, ma gassificazione e dissociazione molecolare.
    · Recupera energia dai rifiuti e dal singas producendo energia elettrica e calore.
    · Recupera i metalli.
    · Recupera materiale inerte non lisciviabile.
    · Non produce rifiuti secondari o ceneri.
    · Lunga durata dei refrattari.
    · Facile versamento del materiale prodotto e dei metalli.
    · Impianti di dimensioni ridotte.

    ELETTROFUSIONE OTTIMIZZATA DALLA ELETTRODISSOCIAZIONE

    Gli anni di ricerca sulle tecnologie per risolvere la fase terminale del ciclo integrato di gestione dei rifiuti hanno dato come risultato l’individuazione di una tecnologia che raggiunge, e supera, le performances ambientali degli impianti con torce al plasma, ma soprattutto che ha risolto i problemi che ne hanno bloccato lo sviluppo.

    Il sistema è nato nel 1990 dopo 15 anni di ricerca e sperimentazione sulla vetrificazione dei materiali ed è originato dalla sinergia di tecnologie utilizzate da più di trenta anni nell’industria siderurgica e nell’industria del vetro. Ha superato da tempo la fase dimostrativa ed attualmente può vantare impianti venduti e funzionanti presso Clienti in USA ed in Giappone.

    Si tratta di una elettrofusione ottimizzata dalla presenza localizzata e controllata di gas ionizzato, ad alta temperatura, generato in un arco voltaico. Il materiale organico, in un ambiente povero di ossigeno, non subisce una combustione ma si dissocia in tempi brevissimi e, per la presenza di acqua si produce un gas di sintesi ad alto contenuto di idrogeno.

    La parte inorganica fonde in un bagno di materiale vetroso che congloba tutti i metalli pesanti e le sostanze pericolose, producendo un materiale basaltico non lisciviabile, utilizzabile direttamente o per produrre fibra di vetro.

    L’azione combinata elettrofusione - elettrodissociazione, la presenza stabile nella camera di elettrofusione di materiale fuso a temperatura pressoché costante, i particolari elettrodi in grafite a caricamento automatico esterno, la conterminazione del gas ionizzato in una zona ristretta a lambire la superficie del materiale fuso e lontana dalle pareti in refrattario, garantiscono, tra l’altro, stabilità termica al sistema, lunga durata ai rivestimenti, omogeneizzazione della sostanza fusa, facilità di spillamento del materiale prodotto e dei metalli e cattura di tutto il rifiuto immesso.

    l gas di sintesi (“singas”) ha come caratteristica la pressoché assenza, sin dall’origine, di sostanze nocive e/o particelle e dopo il passaggio nel sistema di depurazione, ad alta efficienza, viene normalmente utilizzato in generatori associati a motori a gas in modalità “lean burn” o a turbine a gas.

    Il sistema ad “elettrofusione - elettrodissociazione” è in grado di trattare pressoché tutti i rifiuti ed in qualsiasi stato fisico si trovino.
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    *****a seguito con molta pazienza di chi vorrà attendere integrerò questa discussione con con filmati e le altre tecnologie che mancano:
    Crakking catalizzato
    Crakking meccanico
    Crakking freddo (magnetico-cavitativo-ultrasonico)
    Trasformazione molecolare a freddo
    Separatore acqua/idrocarburi gravitazionale
    E-bean
    Neutrin Gun
    Sistemi di triturazione essicazione disinfezione separazione
    Trasmutazioni a debole energia**********

    AdP :D
     
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56 replies since 6/2/2007, 20:45   19974 views
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