Meccanismi di fusione

Tentativo di riunire in uno scenario comune le diverse esperienze relative alla fusione

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  1. skeptic
     
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    Poichè non faccio parte degli "sperimentatori", ed essendo il tema di questa discussione comune a vari thread presenti nella sezione sperimentale, ho deciso di aprirne una nuova, sperando di non inflazionare inutilmente il sito.
    Premesso che non conosco nulla di fisica nucleare, ritenendo che anche altri si trovino nelle mie condizioni, desidero esprimere alcune considerazioni sulla "fusione" dell'idrogeno e suoi isotopi che sono alla base di tutto quanto si fa nel campo della fusione fredda ed esperienze affini.
    La varietà di sistemi sperimentali, e le numerose interpretazioni esistenti non tolgono nulla però al principio fondamentale, che si tratti di reazioni nucleari in cui compare come elemento fondamentale e comune l'idrogeno o i suoi isotopi.
    Non è chiaro se le reazioni nucleari comportino la partecipazione di altri elementi (ad esempio il palladio, il titanio, il tungsteno, etc.) come parte attiva della reazione o solamente come struttura che ne faciliti il verificarsi.
    In ogni caso mi sembra che una condizione intuitiva e sperimentalmente verificata sia la necessità di una elevata concentrazione di idrogeno, onde permettere ai suoi nuclei di fondersi. Nuclei lontani infatti non possono interagire.
    Per quanto ne so (e molto poco), tale concentrazione è stata ottenuta mediante elettrolisi prolungata a temperatura ambiente nell'esperienza classica di Fleischmann e Pons, da plasma in condizioni di elettrolisi estreme da Mizuno e Ohmory, come pure da Iorio e Cirillo, e da alcuni è ora in corso di prova l'azione di scariche ad alta tensione.
    Considerando quest'ultimo approccio, motivo di questo intervento, e che dà luogo a scelte su diverse condizioni di lavoro (elettrodi caldi o freddi, tensioni basse o alte, corrente continua od alternata etc.) vorrei venissero considerati questi fatti di natura generale.
    Un metallo che mostra una certa affinità con l'idrogeno, per le leggi generali delle soluzioni mostrerà una capacità di assorbirne tanto meno quanto più alta è la sua temperatura, quindi non penso che il riscaldamento di un elettrodo giovi al raggiungimento di un'alta concentrazione di idrogeno.
    Per quanto riguarda la tensione da applicare per accelerarne il moto e farli piombare come proiettili sul metallo ospite, mi sembra si debba fare i conti sul fatto che ad alta velocità il protone potrebbe infilarsi in zone profonde del metallo e restare isolato e protetto da ulteriori vicinanze, quando non generi microcrateri di materiale espulso insieme ad esso.
    Dal momento che non stiamo inseguendo un nuovo sistema di fusione "calda", piuttosto che insistere sull'energia dei protoni, cosa ampiamente rincorsa nei vari impianti di ricerca con ben altri mezzi e risultati ancora insoddisfacenti, converrebbe aiutare il tungsteno (o altro metallo) a saturarsi di idrogeno nel modo più dolce e persuasivo.
    Ricordiamo che le reazioni di fissione furono possibili solo con l'utilizzo di neutroni "lenti".
    Sembra che la via elettrolitica, con o senza plasma, sia quella più efficiente per raggiungere una saturazione critica ma volendo provare anche la via gassosa, a causa delle maggiori possibilità di individuare e documentare prodotti di reazione, converrebbe realizzare una cella più o meno fatta così.
    Si dovrebbe costruire un contenitore, in vetro o ceramica, in cui sia presente idrogeno a bassa pressione, e in cui trovino posto due elettrodi, ovvero un anodo, un catodo forato, e a piccola distanza, ma separato da esso, un foglio di mylar metallizzato con un metallo (provarne diversi).
    Alimentando la cella con la minima tensione necessaria a far avvenire una scarica, o inducendo la ionizzazione del gas mediane un agente esterno, per esempio una bobina a radiofrequenza, si genererebbero protoni ed elettroni. Questi ultimi andrebbero a scaricarsi sull'anodo, mentre i protoni sarebbero spinti verso il catodo e in parte riuscirebbero a passare attraverso il foro, andando ad urtare il foglio.
    La scarica non dovrebbe riscaldare troppo gli elettrodi, ma in ogni caso per niente il foglio.
    Dietro il foglio potrebbe essere collocata una pellicola fotografica (ovviamente protetta dalla luce), direttamente o previo inserimento di un materiale rivelatore di particelle (per esempio un materiale che generi fotoni per azione di neutroni).
    Dopo un certo tempo (probabilmente lungo) la pellicola potrebbe mostrare tracce interessanti, e così pure il metallo sul mylar, che per la sua limitata quantità potrebbe più facilmente mostrare eventuali tracce di nuovi elementi con un'analisi chimica.
    Vorrei infine inserire un piccola digressione ispirata dalle mie conoscenze chimiche.
    L'energia di un pezzo di legno può essere liberata bruciandolo, ma l'apparato biochimico delle termiti riesce a trarre l'energia necessaria al loro sostentamento mediante reazioni che non necessitano di alte temperature, e non meno efficienti.
    La natura a questo scopo utilizza speciali sostanze, gli enzimi, che sono dotati di particolari strutture spaziali ed elettriche e riescono a permettere le reazioni delle sostanze che accolgono riducendone l'energia di attivazione necessaria.
    Penso che i vari metalli che "ospitano" l'idrogeno siano un po' degli enzimi, o meglio dei catalizzatori, in cui la struttura spaziale ed elettrica del loro reticolo cristallino ha lo scopo di "contenere" gli atomi di idrogeno in condizioni più favorevoli alla fusione, per esempio formando composti intermedi, chissà!
    A questo proposito converrebbe sperimentare con vari metalli, e anche leghe, che potrebbero offrire un "contenitore" più appropriato per la fusione.
    Salvatore


     
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139 replies since 3/5/2007, 15:45   6017 views
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